Il metodo Montessori nella gestione della demenza. Applicabilità, risultati e sfide.

di Luca Croci

L’approccio convenzionale nella gestione della demenza

Il quadro clinico delle persone colpite da demenza è caratterizzato da una sintomatologia complessa che include il degrado delle funzioni cognitive e mnesiche, lo sviluppo di problemi motori e comportamentali e una progressiva perdita di autonomia.

L’approccio convenzionale alla gestione della demenza per decenni è stato essenzialmente di tipo farmacologico in seno a strutture di assistenza socio-sanitaria a lunga degenza.

La somministrazione di psicofarmaci e l’utilizzo di sistemi di confinamento fisico hanno costituito spesso la sola soluzione assistenziale di fronte a comportamenti quali l’agitazione, il wandering, l’aggressività fisica e verbale che costituiscono la maggiore difficoltà e la più importante fonte di stress per il personale di cura. Inoltre, una visione puramente manageriale dell’assistenza, finalizzata a ottimizzare i tempi di intervento del personale di cura e a contenere i costi di funzionamento,
ha portato a proporre un approccio standardizzato che non tiene conto delle competenze residue dei pazienti e tanto meno dei loro centri di interesse.

Personal-Centered Care e risoluzione dei bisogni del paziente affetto da demenza

Nel corso degli ultimi decenni si è fatta strada l’idea che sia possibile un’altra gestione della demenza, nella quale il singolo paziente, le sue specificità e il suo background vengano posti al centro del percorso di cura.

Al di là dei metodi possibili e dei loro limiti, sia in termini di applicabilità che di valutabilità, i percorsi Person-Centered Care si basano su una migliore conoscenza e comprensione della demenza tanto dal punto di vista del deficit cognitivo che delle disfunzioni comportamentali nelle quali rientrano i comportamenti aggressivi o inopportuni, ma anche la passività, l’apatia, lo scarso coinvolgimento e la tendenza all’isolamento.

Si è stabilito infatti che le difficoltà comunicative del paziente colpito da demenza gli impediscono di identificare e soprattutto di esprimere e rendere intelligibili i propri bisogni, entrando in una spirale di insoddisfazione e frustrazione all’origine di comportamenti disfunzionanti distinti da quelli a eziologia psichiatrica.

In un contesto in cui tutti i canali di comunicazione telematici si sono dimostrati spesso l’unica risorsa per rispondere alle esigenze di confinamento, anche per l’anziano con demenza e i suoi caregiver questi strumenti possono costituire un supporto interessante e talvolta risolutivo sia per mantenere il contatto sociale a distanza che per erogare una nuova forma di assistenza.

Viceversa, proporre a una persona affetta da demenza un compito per il quale non può mobilizzare più alcuna abilità genera uno stato di ansia o di apatia dovuto alla situazione di inadeguatezza.

Potenziare dunque i canali comunicativi, aumentando gli sforzi di comprensione dei bisogni inespressi e insoddisfatti e delle capacità reali del paziente, sembra poter ridurre sensibilmente l’agitazione, l’aggressività e gli altri disturbi del comportamento.

Il secondo aspetto fondamentale nei nuovi metodi di gestione della demenza è l’analisi più fine delle competenze cognitive deficitarie e di quelle residue. In particolare, si è messo in evidenza che la demenza degrada la memoria esplicita mentre la memoria procedurale sembra essere preservata.

Quest’aspetto apre molte possibilità circa lo svolgimento delle attività quotidiane e i percorsi di apprendimento volti soprattutto a prolungare l’autonomia e ad aumentare il benessere e la qualità di vita sia del paziente che del personale di cura.

Il metodo Montessori e la demenza

Nell’ambito dei modelli di Person-Centered Care, i principi del metodo Montessori, formulati originariamente per l’educazione infantile, forniscono un eccezionale arsenale di applicazioni e approcci che hanno dimostrato la loro efficacia nel miglioramento della qualità di vita delle persone colpite da demenza e questo in tutti gli stadi della sindrome nei quali la risposta sia misurabile.

Introdotto oltre 20 anni fa dal professor Cameron J. Camp, il metodo Montessori per la demenza non ha smesso da allora di venire sperimentato con successo.

Il punto di partenza imprescindibile di questo approccio è l’osservazione attenta del paziente affinché se ne possano descrivere le peculiarità, identificare gli interessi e stabilire le competenze residue in riferimento sia al percorso di vita anteriore che alla situazione in atto.

Proporre attività con contenuti attrattivi e accessibili permette di stimolare le capacità cognitive, sensoriali e motorie del paziente, innescando un circolo virtuoso di valorizzazione e un aumento della motivazione e dell’autostima..

Nell’approccio montessoriano sono privilegiate le attività individuali o in piccoli gruppi e viene lasciato un margine importante di libertà al paziente sia nella scelta delle attività, all’interno di un contesto ordinato, che nella progressione e nell’intensità dello svolgimento delle attività stesse.

Procedendo dal più semplice al più complesso, dal concreto all’astratto, le attività si distinguono in sensoriali, motorie, cognitive e sociali.

Ogni percorso viene scomposto in segmenti più semplici e l’attenzione è rivolta non al livello di difficoltà dell’attività, ma al suo svolgimento, alla valorizzazione del risultato positivo, alla capacità di autocorrezione e alla ripetizione.

Dimostrazioni e strumenti facilitatori costituiscono un accompagnamento efficace anche per i pazienti con capacità verbali compromesse, mentre la ripetizione e la manipolazione applicata a un grande spettro di attività (classificazione di oggetti, fitting shape, manipolazioni sensoriali e attività motorie fini, musica, lettura ad alta voce, attività domestiche, etc.) mobilizzano la memoria implicita o procedurale preservata, offrendo margini di apprendimento e autonomia superiori a quelli raggiungibili mediante spiegazioni verbali episodiche che esigono l’intervento della memoria esplicita.

L’esito generale è un coinvolgimento più elevato e più sostenuto nel tempo, un miglioramento della qualità di vita e una riduzione dello stato di agitazione psico-fisico del paziente affetto da demenza. In particolare, si osserva un aumento della partecipazione attiva, constructive engagement (risposta verbale o motoria a un’attività) su quella passiva, passive engagement (osservazione dell’attività senza partecipazione diretta) e sull’assenza di partecipazione, non-engagement o apatia. Inoltre, coinvolgendo i pazienti in attività domestiche a favore della comunità (pulire il refettorio, scrivere il menù, apparecchiare, rendere visita ad altri pazienti, etc.) viene restituito loro un ruolo sociale valorizzante e un più forte sentimento di appartenenza.

Un altro importante outcome positivo del metodo Montessori applicato alla demenza è la riduzione dei disturbi del comportamento alimentare tipico degli stadi più avanzati della sindrome laddove difficoltà motorie, delle funzioni esecutive, dell’attenzione e della comunicazione sono altrettante disabilità che portano al rischio di malnutrizione e all’aggravarsi della perdita di autonomia.

Agendo sulle competenze motorie necessarie per manipolare il cibo, sul tempo dedicato ai pasti e sulla loro composizione, le attività basate sul metodo Montessori producono un miglioramento generale della capacità di alimentarsi.

Un elemento fondamentale dell’approccio montessoriano risiede infine nell’importanza attribuita all’ambiente circostante, non solo perché si vuole strutturato, accogliente e adeguato allo svolgimento delle attività (musica, lettura, lettura ad alta voce, interazioni sociali, attività domestiche, pasti, etc.), ma anche perché si arricchisce di elementi guida tesi a facilitare le attività stesse (badge, segnaletica iconografica o per immagini, sistemi interattivi, allestimenti specifici, etc.) e a ridurre i comportamenti ossessivi e di difficile gestione come le domande ripetute, l’ansietà e la frustrazione.

L’intervento sull’ambiente avviene anche con la riduzione delle barriere fisiche (per es. sponde laterali dei letti) a favore dell’introduzione di adattamenti (per es. letti più bassi) capaci di svolgere sui pazienti la stessa funzione di protezione senza interferire con la loro mobilità.

I limiti dell’applicazione del metodo e il ruolo del personale di cura. Sfide educative e istituzionali

Programmare delle attività personalizzate modulandole sulle abilità e sulla disponibilità affettiva e cognitiva del paziente è il ruolo fondamentale del caregiver, che in un atteggiamento di osservazione costante deve costruire occasioni, ottimizzare le attività e gestirne la progressione in risposta alle competenze del paziente e alla loro evoluzione. Il personale di cura dovrà funzionare in modo coordinato, stabilire e garantire una routine, consentire una costante possibilità di accesso alle attività, assicurare un accompagnamento su misura che non si sostituisca alle competenze del paziente né lo metta in situazione di fallimento.

Il metodo Montessori applicato alla demenza esige quindi non solo una migliore comprensione delle sue manifestazioni, della sintomatologia e dei meccanismi associati, la definizione di un piano di cura individualizzato sulla base di una stadiazione coerente con il metodo stesso, un’accurata compilazione dell’anamnesi del paziente e dell’evoluzione del suo quadro clinico, ma anche una formazione specifica dei suoi principi di applicazione dedicata all’importantissima figura del caregiver.

Questo si traduce in una necessaria revisione dei modelli organizzativi e degli investimenti delle strutture socio-sanitarie indissociabile da un’evoluzione di mentalità.

Il ruolo dell’educazione e della formazione del personale di cura come risultato di prese di decisioni innovanti e proiettate sul lungo termine è quindi un limite e una sfida che inciderà sull’applicazione di Person-Centered Care efficaci.

Conclusioni

Le attività basate sul metodo Montessori hanno dimostrato negli ultimi decenni un impatto positivo sulla qualità di vita, sui disturbi comportamentali e sul coinvolgimento affettivo dei pazienti affetti da demenza.

Se si possono riscontrare delle difficoltà nell’apprezzare i risultati negli stati più avanzati della sindrome, le indicazioni di un effetto positivo dell’introduzione dei principi montessoriani nella gestione delle demenze sono molteplici e il vero limite alla piena applicazione del metodo risiede nella necessità
di educare e formare il personale di cura e quindi di modificare l’approccio organizzativo e gestionale dei luoghi di accoglienza e assistenza delle persone affette da demenza.